La PADAM (Partial Androgen Deficiency of Ageing Male), è l’equivalente della menopausa nella donna. Con la menopausa cessa l’attività secretoria endocrina dell’ovaio. Con l’andropausa si ha una riduzione della concentrazione di testosterone circolante, in parte dovuta ad una minore secrezione del testicolo, che non sempre si accompagna ad un preciso quadro clinico. E’ comunque evidente che nel maschio l’invecchiamento si accompagna ad alcuni segni e sintomi molto simili a quelli del soggetto ipogonadico giovane, cioè di quel soggetto che ha una importante carenza congenita di androgeni. Diffuso è il sospetto che parte dei cambiamenti indotti dalla senescenza siano da attribuire al progressivo calo degli androgeni. Dopo i 60 anni si assiste ad un diverso funzionamento di vari organi e apparati. Si fa strada la sensazione di un ridotto benessere generale, di una ridotta energia e vitalità; la cute diviene più sottile e perde parte degli annessi piliferi; si riducono forza e massa muscolare; si riduce la massa ossea e si ha una maggiore predisposizione alle fratture da osteoporosi; aumenta la massa adiposa in particolare al tronco; si riduce la libido e possono insorgere consistenti problematiche sessuali; infine si assiste ad un calo della capacità mnemonica. Numerosi dati recenti attribuiscono un ruolo importante al calo androgenico nella genesi di vari di tali disturbi.
Il ruolo “chiave” del testosterone
Il livello medio di testosterone circolante si riduce progressivamente con l’invecchiamento. A tal punto che dopo i 60 anni circa il 20% della popolazione maschile apparentemente sana presenta valori di questo ormone ampiamente patologici rispetto ai soggetti giovani. Esistono precisi motivi fisiologici alla base di tale riduzione. Con il passare degli anni in sede cerebrale si indebolisce funzionalmente l’area che produce pulsatilmente (= “pulse generator”) il GnRH, ormone chiave per il funzionamento della gonade maschile e responsabile della cascata di eventi che regolano alla fine la produzione di testosterone testicolare. Un rallentamento della secrezione del GnRH rallenta la secrezione di tutti gli ormoni della cascata, l’ultimo dei quali è il testosterone. Il testosterone è prodotto interamente dai testicoli all’interno delle cellule di Leydig. E’ documentato un progressivo calo del numero di tali cellule con l’età. Pertanto, ad una ridotta attività della cascata ormonale si aggiunge anche una ridotta capacità di produrre testosterone nei testicoli. Questo ormone, che riesce finalmente a raggiungere il circolo periferico per compiere il suo dovere di androgenizzare il maschio, si scontra con il progressivo aumento della concentrazione di SHBG, la proteina che lega il testosterone circolante. Con gli anni si assiste ad un aumento di tale proteina, per motivi ancora non chiari, e si riduce la quota libera dell’ormone, che è la vera responsabile dell’attività periferica androgenica avvertita dall’organismo.
In parallelismo solo parziale con la gonade femminile, che cessa la sua attività ad una certa età, tutto lascia supporre che anche la gonade maschile sia programmata per ridurre la sua attività con il passare degli anni. Inoltre il testicolo umano è l’unica fonte di produzione del testosterone. Una sua carenza non potrà allora essere compensata nell’organismo se non con un apporto esogeno di tale sostanza. Ma prima di procedere in tal senso è necessario escludere l’esistenza di fattori potenzialmente correggibili capaci di far calare l’ormone, tra i quali alcuni stili di vita e alcune malattie concomitanti non gonadiche.
E’ noto come nell’obesità, patologia in aumento nel mondo occidentale, si abbia un calo del testosterone libero, in particolare nelle forme gravi con Indice di Massa Corporea > 35.
L’abuso di alcool porta ad un calo del testosterone totale e ad un incremento dei livelli di estradiolo circolante.
Importanti eventi stressanti riducono la produzione dell’ormone bloccando la cascata cerebrale. Il corrispettivo di tale fenomeno nella donna è l’amenorrea da stress, ove la scomparsa del flusso mestruale è un chiaro segno di scomparsa di una regolare secrezione ormonale.
Tra le malattie sistemiche più rilevanti ricordiamo il diabete mellito di tipo II con elevati livelli di insulina. Anche tale patologia sociale porta ad una diretta riduzione della quota di androgeno totale circolante, in parte attribuibile ad una riduzione dell’SHBG. E’ implicito che questi pazienti sono particolarmente a rischio e, in quanto gravati da varie complicanze, richiedono specialisti esperti. Infatti la stanchezza cronica, la ridotta ossigenazione muscolare e le ripercussioni sulla sfera sessuale creano lo stesso disagio cui porta un calo di testosterone, che, in questi casi, andrà accuratamente prevenuto.
L’insufficienza renale cronica e l’insufficienza epatica portano esse pure ad un calo degli androgeni, sulla base rispettivamente di una ridotta azione della cascata ipotalamico-ipofisaria e di un aumento di SHBG.
Malattie acute come ischemie del miocardio o cerebrali, e interventi chirurgici maggiori porteranno inevitabilmente ad un calo androgenico solitamente transitorio che non dovrà trarre in inganno.
Un sonno interrotto costantemente da episodi di apnea, tipici dei grandi obesi, porta ad un calo del testosterone.
Malattie endocrine come l’iperprolattinemia inibiscono direttamente la produzione della cascata ormonale cerebrale, che si ripercuote sulle gonadi.
Tutti questi fattori sono talvolta prevedibili e trattabili in modo diverso che non con una terapia sostitutiva con androgeni. In effetti i sintomi ed i segni di ipogonadismo in tali casi non sono da attribuire ad una reale andropausa.
Importante interferenza sulla steroidogenesi (cioè sul processo di sintesi del testosterone) possono avere anche farmaci che non di rado vengono assunti in modo cronico dall’anziano: tra questi i cortisonici usati dagli asmatici cronici, che inibiscono direttamente la cascata cerebrale; la digitale, usata nei cardiopatici, che altera il rapporto estrogeni-androgeni; alcuni diuretici, usati dai cardiopatici e dagli ipertesi, che riducono la steroidogenesi, e molti altri ancora dei quali lo specialista dovrà avere completa padronanza. Anche in tale caso non potremo parlare di andropausa.
In sintesi esiste un generale accordo sul definire una reale andropausa quella condizione in cui il testosterone totale o libero sia chiaramente al di sotto della norma con relativa sintomatologia riferita dal paziente o chiare alterazioni organiche dimostrabili ad alcuni semplici esami di screening di base. In questo caso, dopo aver escluso cause collaterali di ipoandrogenismo, sarà opportuno procedere ad una “supplementation” (d’ora innanzi: terapia adiuvante), con benefici diretti su alcuni apparati ed un attento monitoraggio dei modesti effetti collaterali.
Aspetti patologici dell’andropausa e padam
Esaminiamo brevemente gli aspetti patologici dell’andropausa e padam, ed i benefici ed i rischi potenziali di un trattamento adiuvante.
Libido e sessualità
con l’età si ha una riduzione della libido e dell’attività sessuale. In età giovane la frequenza di rapporti si attesta tra 2 e 3 alla settimana, dopo i 75 anni si attesta mediamente a 2 al mese. Se i rapporti calano in modo più consistente ed il desiderio scompare si può sospettare un deficit degli androgeni. Numerosi dati indicano una diretta correlazione tra i livelli di testosterone libero e una buona qualità delle fisiologiche erezioni notturne. Tale fenomeno è più evidente tra i 55 e i 65 anni e cioè nella fase in cui si verifica un calo degli androgeni che alcuni soggetti non riescono a compensare. Il testosterone inoltre stimola direttamente la produzione di ossido nitrico nell’endotelio arterioso contribuendo alla congestione della zona genitale durante l’eccitazione sessuale. I livelli dell’ormone richiesti per il mantenimento della libido e dell’attività sessuale sono comunque bassi. Tenuto conto che nei giovani ipogonadici il ripristino di fisiologici livelli di ormone riporta nella norma la qualità delle risposte sessuali e genitali, nell’anziano un trattamento adiuvante è giustificato in presenza di un franco ipogonadismo, con notevoli possibilità di successo sulla sintomatologia sessuale.
Profilo lipidico
E’ ancora opinione diffusa che gli androgeni siano corresponsabili della maggiore mortalità da cause cardiovascolari nel maschio rispetto alla donna. Gli studi più completi hanno finalmente confutato l’assioma, rivelando, al contrario, che un calo del testosterone porta un calo del colesterolo HDL ed un aumento dell’LDL (quest’ultimo aterogenico). Inoltre il testosterone riduce la concentrazione di lipoprotein (a), che è un fattore di rischio recentemente individuato nella malattia arteriosa coronarica. Dati retrospettivi di confronto tra soggetti sani e soggetti che hanno sviluppato un’ischemia del miocardio mostrano concentrazioni di androgeni ed estrogeni del tutto sovrapponibili. In sintesi, tutti i dati recenti, in antitesi con le opinioni del passato, attribuiscono un ruolo favorevole al testosterone nel migliorare l’assetto lipidico, anche se non è ancora chiaro se a ciò segua realmente una prevenzione del rischio cardiovascolare. Ad oggi è certamente auspicabile effettuare una terapia adiuvante anche in un’ottica di prevenzione cardiovascolare, in attesa di ulteriori dati.
Osteoporosi
Nei giovani maschi ipogonadici è evidente un progressivo depauperamento della massa ossea. Una terapia adiuvante aumenta l’apposizione di nuovo osso. Numerose evidenze ormai confermano anche nell’adulto e nell’anziano una diretta correlazione tra testosterone libero e indice di massa ossea registrata nell’avambraccio. Alcuni studi riconoscono una correlazione anche tra la concentrazione di testosterone totale e di estradiolo e l’indice di massa ossea nel femore e nella colonna. I dati disponibili ad oggi sul trattamento dell’anziano con terapia con androgeni dimostrano una riduzione del turnover osseo con aumento dell’osteocalcina e riduzione dell’idrossiprolina urinaria. In presenza di ipoandrogenismo nell’anziano è suggerita una terapia adiuvante, che, se non riesce a migliorare l’indice di massa ossea, sicuramente ne arresta un ulteriore deterioramento.
Recentemente si sta evidenziando un ruolo protettivo contro l’osteoporosi sia da parte degli estrogeni che da parte degli androgeni. Recettori per gli estrogeni si trovano sugli osteoblasti e sugli osteoclasti e spiegano il ruolo degli estrogeni (in calo) nell’osteoporosi post-menopausale della donna. Nei maschi orchiectomizzati, per esempio per cancro prostatico, il trattamento con estrogeni ( in passato impiegato in tale malattia neoplastica) previene la perdita di massa ossea. Non è ancora chiaro se l’azione sull’osso di androgeni ed estrogeni sia da ricondurre ad un unico meccanismo o consegua ad effetti separati.
L’importanza del trattamento supplementare di androgeni in caso di osteoporosi è sottolineata dal fatto che ¼ dei pazienti che manifestano fratture del femore sono maschi, e questi, rispetto alla donna, hanno prognosi peggiore in termini di morbidità e mortalità. Ciò evidenzia un problema sociale pari a quello del sesso femminile.
Sarcopenia
La riduzione della massa magra e l’aumento della massa adiposa è tipica dell’invecchiamento e aggrava la già evidente incapacità dell’uomo ad adeguarsi ai cambiamenti imposti dal contesto sociale. Esiste una relazione diretta tra testosterone e forza muscolare. I pochi dati disponibili nell’anziano ipogonadico sottoposto a terapia androgenica mostrano una riduzione della massa adiposa ed un aumento della massa muscolare. Ancora una volta una terapia supplementare è auspicabile ma solo in presenza di un oggettivo calo ormonale.
Prostata
Questa ghiandola, spesso causa di disturbi minzionali nel maschio oltre i 50 anni, è sotto il diretto controllo degli androgeni circolanti. In presenza di un’iperplasia prostatica con disturbi urinari un calo della concentrazione del testosterone potrebbe essere utile per ridurre lo stimolo alla crescita ghiandolare. Tuttavia alcuni sostengono addirittura che più alto è il tasso di testosterone, più ridotto rimane il volume della prostata. Gli studi condotti su pazienti anziani con androgeni già sotto la norma ed in terapia supplementare rilevano che quest’ultima non fa aumentare il volume della ghiandola oltre quello che ci si sarebbe aspettati in presenza di androgeni normali. Inoltre nei soggetti ipogonadici la cessazione della terapia ripristina il ridotto volume ghiandolare precedente, tipico degli stessi.
Non esiste inoltre alcun incremento del rischio di più precoce sviluppo di una neoplasia maligna prostatica in corso di terapia adiuvante. Non c’è correlazione lineare tra concentrazione di testosterone e cancro prostatico. In uomini senza cancro prostatico, la supplementazione di androgeni non aumenta la prevalenza del cancro prostatico (Hoffmann,2000).
Il clinico dovrà allora fare semplicemente attenzione alla situazione prostatica di partenza, ad un eventuale disturbo urinario preesistente, e monitorare la ghiandola durante la terapia adiuvante con controlli periodici del PSA (= marker del cancro prostatico) e con ecografie prostatiche, così come la donna in terapia sostitutiva si sottopone a più pesanti controlli (mammografia, ecografia mammaria, ecografia uterina transvaginale): è necessario pertanto uno stretto lavoro collaborativo tra andrologo e urologo.
Conclusione andropausa e padam
L’andropausa è allora un evento clinico ben preciso identificato da una ridotta secrezione del testosterone al di sotto dei valori di normalità tipici del soggetto giovane. Un calo del testosterone si accompagna nel maschio giovane a gravi modificazioni patologiche di numerosi organi ed apparati. Per questo anche nell’anziano valori bassi di testosterone vanno interpretati come patologici e talvolta invalidanti alla stregua del calo ormonale femminile. Paradossalmente l’organismo femminile è geneticamente programmato per una scomparsa dell’estradiolo dopo la menopausa, viceversa il maschio è programmato per mantenere una quota di testosterone circolante. Nel maschio, riportare i valori ormonali nella norma è dunque, oltre che più semplice, più fisiologico, permettendo ciò di migliorare la sua qualità di vita senza uscire dai tassi ormonali per lui programmati fisiologicamente. A dimostrazione sta il fatto che ben l’80% degli uomini conserva valori di testosterone nella norma anche nella vecchiaia.